Descrizione
Non si hanno notizie precise sull’origine storica del centro di Serdiana, le varie ipotesi che si avanzano sono basate sul ritrovamento di diverso materiale archeologico durante i lavori agricoli. Nelle vicine campagne sono stati ritrovati oggetti litici a testimoniare i primi insediamenti neolitici. Gli stessi scavi, eseguiti nelle vicinanze della chiesetta campestre di Santa Maria di Sibiola, dove furono rinvenuti strumenti in pietra e altri oggetti, documentano la presenza umana fin dalla preistoria, nonché in periodo nuragico, in epoca fenicio-punica e, successivamente, per tutto il periodo romano.
Dal secolo XI Serdiana appartenne al giudicato di Cagliari e fu compreso nella Curatoria di Dolia o Parte Olla, passando ai conti della Gherardesca. Dopo il 1257 il Giudicato si smembrò e fu annesso al regno d’Arborea in seguito fu dato in feudo ai Bollaix sino al 1297, anno in cui fu ceduto al comune di Pisa. In un vecchio registro pisano risalente ai primi anni del Trecento, si ritrova Serdiana, detta allora “Villa Sidriani”; dai dati rilevati pare si trattasse di un piccolo villaggio che versava annualmente una quota al Comune di Pisa equivalente a sei libre in danaro, dieci soldi per i diritti sulla produzione del vino, 54 starelli di grano e 42 di orzo.(*). Nel 1323 Serdiana passò agli Aragonesi, che sottomisero la Sardegna lasciando intatto solo il giudicato di Arborea. Il territorio conquistato venne diviso in feudi. Serdiana, insieme agli altri villaggi di Ussana, Siserri, Turris, Bacu e Jana e ad alcuni villaggi distrutti o disabitati, venne concessa, nel 1328, al nobile Clemente Salavert.
Quando nel 1358 gli aragonesi fecero il censimento dei loro feudi, Serdiana risulta un possedimento di R. de Monphao o Raimondo di Mont Pavon, al quale gli abitanti versavano una quota che corrispondeva esattamente alla tassa versata in precedenza al Comune di Pisa.
Pare che in quel periodo Serdiana fosse completamente spopolata in seguito alla peste e alla difficoltà dovute alle carestie e alle guerre.
Nel 1440 passò ai Tomich sotto i quali con il nome di Sardiani contavano 26 fuochi (famiglie). Appartenne ai Mora nel 1544, e dieci anni dopo, ai Gaspari-Porcella…in seguito appartenne ai Fortesa. (In epoca medioevale sorgevano nel territorio di Serdiana numerose altre ville: Balardi, già spopolata nel 1455; Bacu, Modulu e Turri de Casu, tutte abbandonate).
Nel 1678 la ritroviamo costituita in “Baronia de Serdiani” con 114 fuochi. Nel 1728 la Baronia si scisse in due Marchesati: il Marchesato di San Xavier o Saverio, comprendente Serdiana e Donori e il Marchesato di sant’Esperate.
Ultimo feudatario di Serdiana fu la marchesa Donna Giovanna Carcassona Brunengo. Per il riscatto del marchesato, il Comune pagò Lire sarde 3.388.
Per quanto riguarda l’origine del nome, gli studiosi non sono concordi. C’è chi ipotizza una derivazione dalla radice fenicia “SARED” che significa rosso, dal colore delle argille esistenti nella zona, c’è invece chi sostiene che l’antico toponimo deriverebbe da “Sergius” un ricco patrizio romano “cives”, i cui possedimenti agricoli avrebbero dato origine al primo nucleo dal quale poi il paese si sarebbe sviluppato col nome di “Sergiana”.
(*) R. Solinas “Feste e sagre del Parteolla”
Nel contesto urbanistico del centro storico, si trova una delle più importanti strutture del paese: Il Castello Roberti
Il Castello risalente al XVIII sec., apparteneva al feudo della Villa di Serdiana in concessione, dal Regno di Sardegna con il titolo di “Marchesato di San Saverio” a Efisio Luigi Carcassona, algherese, la cui nipote sposò il Conte Edmondo Roberti di Castelvero (nobile piemontese, appassionato archeologo).
L’edifico presenta due torri merlate laterali; al centro la residenza abitativa articolata su due piani: piano terra (zona giorno) e piano superiore (zona notte).
Lo stemma, che ancora oggi si trova sul portone principale che dà accesso all’edificio, è da attribuire a questi ultimi proprietari.
L’ultimo Marchese vendette la Casa-forte a tre agricoltori continentali: Vandoni, Muzzioli e Rastano, da cui, dopo 18 anni di affitto, le acquistò Francesco Angius, padre degli attuali proprietari.
I Savoia confermarono a Serdiana le concessioni feudali degli Aragonesi, anche Don Gregorio Fortesa ottenne con il feudo l’investitura della Baronia con sentenza del 1729.
In seguito però perse una causa con il fisco per i debiti e gli furono confiscati i feudi che ritornarono di proprietà della Corona.
La Regia Finanza, avendo necessità di denaro, mise all’asta i villaggi di Donori e di Serdiana tramite l’intervento del intendente Conte di Calamandra.
Donna Maria Franca Brunengo vedova Carcassona, nobile algherese di origine ebraica madre di don Efisio Luigi e Francesca, nell’agosto del 1749, ottenne la concessione della baronia, con il titolo di Marchesa di San Saverio al prezzo di 27 mila scudi.
Il primo a succedere nel feudo del Marchesato di San Saverio fu Don Efisio Luigi, gli abitanti continuarono ad essere gravati da tasse, in parte in natura e in parte in denaro, infatti da ogni vassallo di età superiore ai 18 anni, il feudatario esigeva: 4 imbuti di grano, 4 di orzo e 4 di fave, uno scudo, un soldo e 4 denari e il 50% del raccolto prodotto nei campi seminativi.
Avendo acquistato il Feudo a un prezzo molto elevato, la vedova Carcassona, cercò di rifarsi sui suoi vassalli.
Con la morte della vedova Carcassona il suo potere passa nelle mani del figlio Efisio Luigi, con lui la situazione economica appare un tantino migliorata anche per la costituzione dei Monti Frumentari o Monte Granatico, qui infatti si raccoglievano i cereali che servivano da fondo comune. In questo stesso periodo nacquero le Compagnie barracellari in funzione di anti – abigeato, inoltre per difendere i meno abbienti fu nominato un avvocato dei poveri presso la Reale Udienza.
Serdiana, come risulta dai documenti d’archivio, partecipò alla repressione dei moti antifeudali con la cavalleria comandata dal Pintor e lo stesso Giò Maria Angioy, sconfitto, si rifugiò a Serdiana.
Terminati i moti antifeudali subentrò la politica sabauda che divise nel 1807 l’Isola in 15 Prefetture; Serdiana entrò a far parte della Prefettura di Cagliari.
I primi anni dell’800 furono anni di carestia sia a causa della siccità sia perché i pochi raccolti venivano distrutti dal bestiame allo stato brado che, per mancanza di pascoli, invadevano i terreni coltivati.
In questo periodo inoltre si diffuse, a Serdiana, il vaiolo. Le condizioni degli abitanti peggiorarono anche per la mancanza di acqua potabile nel territorio, il cui approvvigionamento dipendeva da Sicci (Funtana de Coccu).
Il Sindaco emanò provvedimenti straordinari per l’igiene e, per fronteggiare il problema fame, si dispose la vendita del formaggio in sostituzione del pane.
Per ricordare questi tremendi anni di carestia, in particolare il 1812, è ancora oggi in uso dire “…e unu famini che s’annu doxi“.
Nel 1801, non essendoci eredi maschi dopo la morte di Don Efisio Luigi Carcassona, i feudi di Donori e Serdiana passarono in eredità alla figlia Francesca. Questa, deceduta dopo il parto del primo figlio nel 1823, lo lasciò in eredità alla sorella Giovanna, che fu l’ultima Marchesa di Serdiana e Donori.
Negli anni tra il 1828-1830 pochi furono i possidenti che riuscirono a trarre beneficio dalla “Legge sulle chiudende”, naturalmente quelli che sapevano leggere, scrivere e avevano molti servi”. Questa legge permetteva ai proprietari di delimitare i campi, esclusi quelli che costituivano un luogo di passaggio o erano adibiti a pascolo, o vi fossero fonti o abbeveratoi.
Il 21 maggio 1836, con l’editto di Carlo Alberto, ci fu l’abolizione delle giurisdizioni signorili.
Nel 1839 i feudi di Serdiana e Donori furono riscattati a Giovanna Carcassona, dietro concessione del Consiglio Supremo del Regno di Sardegna.
Nel 1840 Serdiana diviene un Comune autonomo.
Nel primo censimento della popolazione di Sardegna, effettuato nel 1842 per volere del re Carlo Alberto, Serdiana risultò essere tra i 62 Comuni della Provincia di Cagliari e fu inserito nel Mandamento di San Pantaleo.
Per quanto riguarda l’origine del nome, gli studiosi non sono concordi,. C’è chi ipotizza una derivazione dalla radice fenicia “SARED” che significa rosso, dal colore delle argille esistenti nella zona, c’è invece chi sostiene che l’antico toponimo deriverebbe da “Sergius” un ricco patrizio romano “cives”, i cui possedimenti agricoli avrebbero dato origine al primo nucleo dal quale poi il paese si sarebbe sviluppato col nome di “Sergiana”
Serdiana, la cui superificie era di oltre 16 miglia (circa 30 Kmq), viene presentata nel Dizionario degli Stati Sardi, dall’Angius-Casalis, come un paese umido e malsano a causa della vicinanza dei terreni paludosi (Is benazzus e Is Paulis).
Infatti, si legge testualmente “…quando l’aria non era viziata dai miasmi che la terra esalava, risultava ugualmente contaminata poiché le immondizie venivano gettate per le strade. A questo si aggiungevano le esalazioni dei cadaveri; infatti, non avendo predisposto nelle zone periferiche del paese, un camposanto (come prescritto dalla legge), i morti venivano seppelliti nel piazzale della Chiesa con poche precauzioni”
Vi era anche un altro grave problema: quello dell’acqua potabile. Risultavano infatti esserci solo due fonti perenni e distanti dall’abitato che non davano acqua potabile, per cui il Comune era costretto a rifornirsi alla fontana detta “Funtana de Coccu de Sicci”.
Questa situazione di grave disagio del paese, fu causa di problemi per la salute degli abitanti; le malattie più comuni in questo periodo furono: “le infiammazioni, le idropisie pettorali, le febbri stagionali e la malaria”. Coloro che si ammalavano venivano seguiti da un “flebotomo”, che era un esperto in salassi.
Scrive sempre l’Angius, che, per risolvere tutti questi problemi, i Serdianesi “non facessero nulla”
Anche per quanto riguarda l’economia “i serdianesi non sapevano e soprattutto non capivano come coltivare le proprie terre; infatti, anche se queste non erano adatte alla coltivazione, contiuavano a sfruttarle. Ciò significa che, ad esempio, per il periodo della vendemmia, non avendo fatto un buon raccolto, sono costretti a comprare il vino a San Pantaleo e a Sicci”.
In quel periodo era molto diffusa la coltivazione degli alberi quali: mandorli, fichi, peri, susini e olivi.
Per quanto riguarda l’allevamento, si usavano i buoi, cavalli e asini per l’attività rurale, e molte famiglie decisero di allevare anche maiali.
Il commercio era molto limitato.
Vi erano problemi anche nel settore scolastico; la frequenza alla scuola elementare risultava scarsa.
Se a questi fattori negativi si aggiungono anche “le guerre, le epidemie, le invasioni delle cavallette, la siccità”, verrebbe da chiedersi come abbia fatto una Comunità così piccola, fondamentalmente agricola, a sopravvivere a tutto ciò. Forse l’attaccamento alla propria terra ha dato loro la forza di andare avanti.
Dopo che il Consiglio Comunale ebbe deliberato l’acquisto della casa dei fratelli Piredda, con un documento firmato da Vittorio Emanuele II in data 26 settembre 1854, Serdiana ebbe finalmente la sua sede Comunale.
Con la presenza di Don Edmondo Roberti, marchese di Castelvero (marito di Donna Luigia in Carcassona Brunengo), Serdiana mantenne, per così dire, un residuo di vincolo feudale, essendo stato Don Edmondo Roberti, consigliere comunale fino al 1876.
CRONACA DI PROBLEMI LOCALI
Mentre nel 1867 Giuseppe Garibladi veniva sconfitto a Mentana dall’esercito francese, i Serdianesi lottavano contro l’invasione delle cavallette. Periodicamente, infatti, questi insetti voraci e numerosissimi, nel periodo tra maggio e luglio, invadevano i campi di frumento, provocando danni talmente gravi da compromettere l’intero raccolto.
Da quanto documentato da una deliberazione di Consiglio Comunale dell’epoca, era una vera e propria guerra quella dei Serdianesi contro le cavallette. Attorno ai campi si scavavano dei fossati simili a trincee, e al tramonto, armati di frasche, si cercava di ucciderne il più possibile; oppure, per intralciare il loro volo e abbatterle, si innalzavano delle barriere, create con lenzuola e sacchi tenuti da delle canne…“La battaglia che non terminava al tramonto, poteva continuare fino all’alba poiché questa era l’ora più adatta per uccidere le “ovaie” (le larve delle cavallette)”.
Un altro problema citato nelle delibere consiliari del periodo, è quello dell’approvvigionamento idrico, in quanto l’unica risorsa d’acqua potabile si trovava a Sicci San Biagio e il Comune dovette stipulare una convenzione con questo Comune per l’utilizzo dell’acqua di “Funtana de coccu”.
L’acqua veniva prelevata con dei carri attrezzati e versata nelle botti e in seguito veniva riposta nella cisterna pubblica che si trovava in periferia, prima del passaggio a livello.
La Giunta Municipale si riunì per decidere se far pagare alla popolazione il prezzo di cinque centesimi a brocca o di distribuirla gratis, ma alla fine venne presa la decisione di distribuirla gratuitamente.
Un altro oggetto ricorrente all’ordine del giorno è quello della nomina, nel Comune, del “vaccinatore d’Ufficio” (dottor chirurgo Raimondo Farris), che aveva il compito di prevenire e di salvaguardare la salute degli abitanti. Furono presi provvedimenti contro il colera e il vaiolo, nominando un sorvegliante per tenere pulite sia le case che i negozi.
Il Consiglio Comunale emanò il “Regolamento sulle norme igieniche” e lo stesso Sindaco tenne un discorso sull’ ”igiene” e proibì di esporre, nelle vie, le carni macellate destinate alla vendita, di gettare l’immondizia nelle strade, con l’obbligo di tenerle sgombre dall’erba e dal bestiame che pascola, specialmente nei fossi laterali. Inoltre venne previsto l’obbligo, per ogni cittadino, di imbiancare frequentemente l’interno delle case con calce pura e, insieme ad esso, anche i gradini che davano sulla strada.
In questo periodo si verificarono casi di vaiolo e colera arabo; per evitare il contagio, coloro che ne erano affetti, dovevano essere portati fuori da paese e, in caso di morte, seppelliti sempre fuori dal centro abitato.
Dai documenti d’archivio, risulta che il luogo prescelto era la Chiesa di Santa Maria di Sibiola e la zona di sepoltura, i terreni circostanti alla Chiesetta.
L’Amministrazione comunale fu costretta inoltre ad impegnare i braccianti nella costruzione e nell’apertura delle strade obbligatorie: ………. “quella che ….. partendo dal popolato di Serdiana va a mettere capo in Sa mitz’a S’Ollastu, limite Ussana”. “Riparazione di quella che dalla croce di ferro conduce all’aja di Pasquale Todde…..” “Apertura di una strada in S’Isca Mureddu per mettere in comunicazione questo villaggio con lo stradone provinciale di Sant’Andrea Frius”. Dapprima si pensò al progetto di una strada che …. Partendo dalla Grux’e Ferru e passando per il salto di Mugori, andasse a finire sul ponte Riu Mannu”, ma in seguito venne modificato e fu espropriata la terra di Funtana Noa al marchese di San Filippo, fu riparata la strada di Is Arroccheddas e selciata via Funtana ‘e Biri.
Il Comune inoltre partecipò con una quota alla realizzazione della strada consortile Pauli-Pirri-San Pantaleo.
Nel 1885 venne realizzata una rete ferroviaria. Il percorso della linea Cagliari-Isili coinvolse i Comuni di San Pantaleo, Sicci, Serdiana e Soleminis e, da quanto risulta, per poterla costruire si dovettero superare molti ostacoli e difficoltà, sia per quanto riguarda il tracciato, (che avrebbe dovuto attraversare una zona denominata “Sa Gora”, importante per il rifornimento idrico dei Comuni), sia per quanto riguarda l’ubicazione dello scalo ferroviario.